Premio Telamone: Alessandro Finazzi Agrò nell'Albo d'oro degli insigniti

Credere in sè stessi con fiducia e pensare al futuro con decisione e fantasia, senza dimenticare le proprie origini ma guardando, piuttosto, con suggestione le potenzialità di un territorio che ha un patrimonio culturale, monumentale ed economico da valorizzare in chiave strategica e con spirito di inventiva. 

Questo è il consiglio per affrontare le sfide della vita che viene proposto ai giovani siciliani dal Prof. Alessandro Finazzi Agrò, ordinario di Biochimica e Rettore emerito dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata.  Un agrigentino d'eccellenza, un uomo colto e di grande sensibilità che ha raggiunto importanti successi professionali e personali senza mai dimenticare le radici siciliane, conservando un sentimento di profondo legame con la città e il suo territorio.

Il Prof. Alessandro Finazzi Agrò è ordinario di Biochimica e Rettore emerito dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Il Prof. Alessandro Finazzi Agrò è ordinario di Biochimica e Rettore emerito dell'Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Il Prof. Alessandro Finazzi Agrò è stato insignito del Premio Telamone nel 2000 per gli alti meriti professionali in campo della ricerca, della didattica e dello sviluppo universitario. Oggi è un cittadino onorario della città di Agrigento che ci rende particolarmente orgogliosi quale esempio di affermazione professionale e di notevole sensibilità umana.

Da diversi anni, infatti, è promotore presso il Liceo Classico 'Empedocle' di Agrigento del Premio 'Giovanni Finazzi Agrò', una borsa di studio destinata allo studente o alla studentessa più meritevole tra i neodiplomati del Liceo Classico, che intende porsi come un concreto stimolo per i giovani ad un miglior contributo personale nella propria formazione, e un reale strumento di sostegno -morale ed economico- alle future scelte universitarie.

Abbiamo intervistato Alessandro Finazzi Agrò nell’ambito delle iniziative a supporto del Premio Telamone. Ecco di cosa abbiamo parlato.

Il Premio Telamone riconosce il forte impegno professionale e umano per una visione talentuosa e costruttiva della Sicilia. Qual è il Suo rapporto con la Sicilia e, nello specifico, con Agrigento?

Il Premio Telamone rappresenta nel mio percorso professionale e umano un significativo momento: ricevere un riconoscimento nella Città che mi ha visto crescere e frequentare diversi suoi Istituti scolastici (le Elementari Lauricella di Viale della Vittoria, le Medie dell’Istituto Salesiano Gioeni e il Liceo Empedocle) è stato dal punto di vista emozionale un ritorno nell’ambiente che mi ha formato e mi ha permesso di realizzare le mie aspirazioni. Il mio rapporto con la Sicilia in generale, e con Girgenti (mi sia consentito di chiamarla ancora così) in particolare, già vivissimo nella mia mente e nel mio cuore, ne è uscito ulteriormente rafforzato.

Cosa ha significato per lei il riconoscimento del Premio Telamone e come lo ricorda?

Ritengo il Premio Telamone del quale sono stato onorato nel 2000, una delle iniziative più importanti nel territorio in grado di presentare un'immagine di Agrigento lontana dagli stereotipi purtroppo prevalenti nella pubblicistica stanca e un po’ sciatta dei mezzi di comunicazione nazionali che la citano spesso soltanto in contesti di arretratezza e criminalità organizzata. Di certo tali problemi di Agrigento e della sua Provincia esistono e costituiscono un grave impedimento al suo sviluppo; ma è ben noto a tutti gli studiosi di psicologia e sociologia che il concentrare l’attenzione dei cittadini, e soprattutto dei giovani, sugli aspetti negativi di qualsiasi realtà ha come effetto la cronicizzazione di ogni negatività e la spinta a considerare tali problemi irresolubili.                                                                                                                                     
Presentare alla cittadinanza persone e personaggi, in qualche modo legati ad Agrigento, o comunque alla Sicilia e chiedere loro, nel premiarli, di indicare i percorsi, le difficoltà e le opportunità che hanno permesso loro di diventare quel che sono diventati è uno stimolo e un esempio importante soprattutto per le giovani generazioni.

In un periodo di palese difficoltà economica globale e di crescente disagio anche sociale, cosa si sente di consigliare alle giovani generazioni siciliane?

Non vorrei apparire banale nel ripetere concetti logorati dall’uso eccessivo, ma non posso esimermi dal raccomandare ai miei più giovani conterranei di credere in sé stessi: la nostra appartenenza a una delle terre più straordinarie per bellezze naturali, storia e miscela di popolazioni ci rende particolarmente attrezzati per affrontare con decisione e fantasia ogni sfida che la vita ci propone. Ecco, fantasia e decisione sono quello che mi sento di proporre loro come strumenti di affermazione umana e professionale.

Cosa augura alla città di Agrigento, attualmente candidata alla sfida di capitale italiana della cultura per il 2020?

Oggi più che mai dobbiamo guardare alle nostre radici per trovare nuovi orizzonti alle nostre aspirazioni. Nella mia lunga carriera ho avuto la possibilità di viaggiare non come turista frettoloso, quasi “ostaggio” di una agenzia di viaggi, e quindi di valutare con più attenzione opportunità e limiti di città italiane straniere. Ebbene non mi pare di aver trovato altrove le bellezze, il calore e la filosofia di vita che riscontro ogni volta che torno ad Agrigento. Ed ogni volta mi chiedo come mai non siamo stati in grado di sfruttare questo incomparabile patrimonio.

Credo che la candidatura della nostra Città a Capitale italiana della Cultura per il 2020 sia una grandissima opportunità per prendere coscienza del patrimonio che ci è stato affidato dai nostri antenati e che noi, come vecchi sospettosi, abbiamo, per così dire, nascosto sotto il materasso invece di metterlo pienamente a frutto. Spero sia arrivato il momento della svolta: infrastrutture, sinergie e accoglienza devono riportare Agrigento al centro della attenzione nazionale e mondiale. E che finalmente si possa cambiare il nostro modo di dire: “cu nesci arrinesci” nel più auspicabile “resta e arrinesci”.